Servizio di car sharing e relativa incidenza sul reddito di lavoro dipendente

Con Risoluzione n. 83 del 28 settembre 2016, l’Agenzia delle Entrate fornisce alcuni chiarimenti in merito alla rilevanza, ai fini della determinazione dei redditi di lavoro dipendente, del rimborso spese per il servizio di car sharing utilizzato dal dipendente in occasione di trasferte nell’ambito del territorio comunale ove è ubicata la sede di lavoro.
Fermo restando che, nell’ipotesi in cui la trasferta si svolga all’interno del comune ove è ubicata la sede di lavoro, sono esclusi da tassazione i soli rimborsi delle spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore, mentre sono da assoggettare a tassazione le indennità e i rimborsi di altre spese di viaggio, l’Agenzia chiarisce che anche la fattura emessa dalla società che gestisce il servizio di car sharing può legittimamente essere ricondotta nella previsione di esenzione di cui al comma 5, art. 51 del TUIR, in quanto contiene una serie di informazioni (il destinatario della prestazione, il percorso effettuato, con indicazione del luogo di partenza e luogo di arrivo, la distanza percorsa nonché la durata e l’importo dovuto) idonee ad attestare l’effettivo spostamento dalla sede di lavoro e l’utilizzo del servizio da parte del dipendente, analogamente ai documenti provenienti dal vettore.

Latte fresco per dolci e gelati assoggettato ad aliquota IVA del 10%

Con Risoluzione 29 settembre 2016, n. 85, l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in merito all’aliquota IVA applicabile alle cessioni di latte fresco, precisando che l’applicazione dell’aliquota ridotta del 4% risulta possibile per le cessioni nei confronti dei consumatoti finali e non anche per le cessioni effettuate nei confronti di operatori economici che utilizzano il prodotto nelle proprie lavorazioni.
In particolare, l’Agenzia precisa che per l’applicazione dell’aliquota agevolata del 4% deve trattarsi di latte fresco pronto per il consumo alimentare, senza che questo necessiti di ulteriori lavorazioni o trasformazioni e inoltre deve essere confezionato per la vendita al minuto.
Nel caso di specie, l’amministrazione finanziaria rileva che anche se il prodotto contenuto nelle confezioni destinate alla vendita al minuto al consumatore finale ha le stesse caratteristiche del latte ceduto ai laboratori di pasticceria ed ai produttori di gelati, quest’ultimo non è destinato al consumatore finale, per cui le relative cessioni non possono godere dell’aliquota IVA ridotta del 4% ma devono essere assoggettate ad imposta con l’aliquota del 10% (Parte III, Tabella A, n. 11, D.P.R. n. 633/1972).

Autonoma organizzazione ai fini IRAP: non può essere accertata in sede di interpello

Con Risoluzione 28 settembre 2016, n. 82, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito alla verifica della sussistenza di un’autonoma organizzazione ai fini dell’IRAP per l’attività di medico in regime di convenzione.
In particolare, il documento di prassi ha precisato che la verifica della sussistenza di un’autonoma organizzazione ai fini IRAP non può essere effettuata in sede di interpello ma va accertata attraverso un esame fattuale, possibile solamente in fase di accertamento.

Il lavoratore autonomo che svolge di fatto la mansione del quadro è da considerarsi dipendente subordinato

È da considerarsi lavoratore dipendente l’autonomo che, pur senza vincoli di orario e con elevata autonomia, sottostà alle direttive impartitegli dalla direzione commerciale dell’azienda e coordina un gruppo di persone numeroso, e va inquadrato come “quadro”.
Questo l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n. 18586 del 22 settembre 2016, che spiega come l’elevata autonomia, nonché l’assenza di vincoli di orario sia comunque compatibile con la natura subordinata del rapporto di lavoro, in quanto è necessario analizzare tutto l’arco temporale in cui il lavoratore autonomo ha svolto attività presso l’azienda. Inoltre, la categoria di quadro viene riconosciuta proprio per l’elevata autonomia e l’onere di coordinare un gruppo di dipendenti.

Licenziato il “finto malato” sulla base delle prove fornite dall’investigatore privato

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 18507 del 21 settembre 2016, ha cristallizzato due importanti principi: in primo luogo, che il lavoratore che si finge malato e poi svolge lavori pesanti per conto proprio può essere licenziato e, in secondo luogo, che al fine di provare la “finta malattia” possono essere utilizzate le prove fornite da un investigatore privato ingaggiato ad hoc.
Nel caso in specie, un autista si era dato per malato per una lombalgia, ma l’agenzia investigativa assunta dal datore di lavoro per verificare l’attendibilità di tale motivazione ha portato al datore immagini e video nei quali si dimostrava che il lavoratore in questione, nel periodo di malattia, stava in realtà eseguendo lavori pesanti in casa di tipo edile: i giudici della Corte Suprema hanno precisato che il divieto imposto dall’articolo 5 della Legge n. 300/1970 non preclude al datore di lavoro la possibilità di “accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza”. Il licenziamento, pertanto, risulta legittimo.

Licenziato per le mail diffamatorie nei confronti dei superiori

In materia di licenziamento per giusta causa, la Corte di Cassazione ha statuito la legittimità della sanzione espulsiva nei confronti del dipendente che, mediante un falso account, invia ai colleghi mail diffamatorie nei confronti della dirigenza.
La Suprema Corte, con la Sentenza n. 18404 del 20 settembre 2016, ha precisato che il provvedimento espulsivo è giustificato, in quanto la condotta del lavoratore ha compromesso il rapporto fiduciario con i dirigenti, non sussistendo alcuna prova che gli stessi abbiano discriminato le sue abitudini sessuali e, quindi, non configurandosi l’esimente dello stato d’ira.

Immobile detenuto all’estero: chiarimenti sulla compilazione del quadro RW

Con Risoluzione 16 settembre 2016, n. 77, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito alla compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi (in risposta ad un’istanza di interpello di un contribuente proprietario di un immobile in Svizzera).
In particolare, il documento di prassi ha precisato che il controvalore in euro degli investimenti e delle attività finanziarie espresse in valuta va calcolato con riferimento alla data del costo di acquisto o di determinazione del valore di mercato. In pratica, se si utilizza:

  1. il costo di acquisto si applicherà il cambio medio del mese della data di acquisto come indicato nel provvedimento di accertamento dei tassi di cambio; in tal caso non sarà necessario aggiornare il valore indicato in dichiarazione;
  2. il valore di mercato, rilevabile al termine dell’anno (o del periodo di detenzione), si applicherà il cambio medio del mese in cui ricade detto termine (o periodo) come indicato nel provvedimento di accertamento dei tassi di cambio; in tal caso, sarà necessario aggiornare annualmente il valore indicato in dichiarazione.

Illegittimo registrare navigazione internet, telefonate e mail dei dipendenti

In materia di controlli sui lavoratori, la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 18302 emanata il 19 settembre 2016, ha stabilito l’illegittimità dei controlli sulle modalità di utilizzo di computer, e-mail e telefono da parte dei dipendenti senza il preventivo accordo con le rappresentanze sindacali, così come previsto dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.
Inoltre, anche in caso di accordo con le RSA, chiariscono i giudici del palazzaccio, il datore di lavoro non può comunque tracciare le pagine web visitate dai lavoratori, mantenere sui server aziendali le mail inviate per lunghi periodi ovvero registrare le telefonate: tali fatti, pur fatti passare dal datore di lavoro come azioni volte a tutelare il patrimonio aziendale, sono da considerarsi controlli a distanza lesivi della privacy dei lavoratori, in quanto costituiscono un’indagine sulle loro opinioni e condotte, vietata dall’articolo 8 della Legge n. 300/1970.

“Super ammortamento”

Con Risoluzione 14 settembre 2016, n. 74, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito alle disposizioni agevolative introdotte dall’art. 1, commi da 91 a 93, L. n. 208/2015 sul “super ammortamento” di beni strumentali per l’esercizio di alcune attività regolate e di beni gratuitamente devolvibili.
In particolare, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che:

  • per stabilire se un bene è escluso o meno dall’ambito applicativo di tale agevolazione, è necessario far riferimento ai coefficienti di ammortamento previsti dal D.M. 31 dicembre 1988 e non a quelli determinati in applicazione dell’articolo 102-bis,TUIR;
  • la maggiorazione dovrà essere agganciata ai coefficienti stabiliti dal D.M 31 dicembre 1988;

Inoltre, il documento di prassi precisa che anche per i beni gratuitamente devolvibili di cui all’art. 104, TUIR, si applicano le regole sopra esposte.

Lavoro oltre il 6° giorno: il danno va presunto e non è applicabile il principio della non contestazione

Con la Sentenza n. 17966 del 13 settembre 2016 la Corte di Cassazione è intervenuta in merito al danno da usura nel caso di prestazione lavorativa sistematicamente superiore ai 6 giorni.
Nello specifico la suprema Corte ha riconosciuto il danno nel caso di un’azienda che, in assenza di accordo scritto, aveva istituito turnazioni che prevedevano prestazioni a cicli di più di sei giorni per turno: il datore sosteneva erroneamente che la mancata contestazione dei lavoratori si configurava come assenso da parte della forza lavoro.
La Suprema Corte ha sentenziato che “(..) il principio di non contestazione di cui agli articoli 115 e 416 secondo comma Cpc (..)” non è applicabile al caso di specie ed il danno da usura va quindi liquidato.