Ordinanza 22/09/2021 n. 25622 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione. Sezione Tributaria.
L’Ordinanza 22/09/2021 n. 25622 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione tratta il caso di una contribuente alla quale era stata versata somma di lire 1.250.000.000 in relazione ad un accordo transattivo con una controparte societaria.
La transazione (giudiziale) aveva ad oggetto una “Villa”.
L’Agenzia delle Entrate aveva qualificato l’importo alla stregua di un corrispettivo derivante dall’assunzione di obblighi di “fare, non fare o permettere”, contestandone l’omessa dichiarazione tra i redditi diversi.
I due gradi di merito sono stati favorevoli alla contribuente e la Suprema Corte ha confermato tale impostazione dei giudici di merito, respingendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
Secondo i Giudici di Legittimità la valutazione della natura meramente reintegrativa o di mancata percezione di redditi derivanti da un atto di transazione stipulato dal contribuente al fine della sua soggezione a imposizione fiscale è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito e, se congruamente motivata, non è sindacabile in Cassazione.
Nel caso specifico la Commissione Tributaria Regionale Veneto ha peraltro evidenziato che la transazione prevedeva il pagamento di una somma di danaro come ristoro della rinuncia alla titolarità della villa e che, pertanto, la stessa doveva essere qualificata come danno emergente. Si tratta di motivazione esente da vizi logici e giuridici e conforme all’indirizzo consolidato secondo cui “In tema di imposte sui redditi, in base al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi, mentre non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa (Sentenza n. 10244 del 26/04/2017).
Quanto alla reale volontà delle parti, la Corte ricorda come, secondo la giurisprudenza consolidata, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli articoli 1362 C.C. e segg..
Resta pertanto onere del ricorrente, al fine di far valere la violazione dei richiamati profili, non solo di fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma anche di precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità” (Cfr. Cass. 22/09/2016 n. 18585; 09/10/ 2012, n. 17168; 04/06/2010, n. 13587; 31/05/2010, n. 13242).