La Corte di Cassazione con la sentenza n. 18910 del 17/07/2018 ha precisato che l’inosservanza dell’obbligo del sostituto d’imposta di inviare al “contribuente sostituito” la così detta “certificazione dell’avvenuta effettuazione della ritenuta a titolo d’acconoto o d’imposta” (oggi denominata Certificazione Unica), attestante le ritenute operate e la loro natura, non toglie al “contribuente sostituito” il diritto ad usufruire in sede di “autoliquidazione” di recuperare la ritenuta subita dovendo provare la reale entità della base imponibile, ottnendo così di evitare una fuorviante situazione di “duplicazione di un’imposizione” una volata scontata alla fonte ed una seconda volata in sede di “autoliquidazione”. Detta impostazione era già stata espressa dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 7251, Rv. 487652 del 04/08/1994.
Ancor prima, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3725, Rv. 400153 del 03/07/1979 aveva affermato che il contribuente non può essere assoggettato di nuovo all’imposta sol perché chi ha operato la ritenuta non voglia consegnargli l’attestato da esibire al fisco.
L’orientamento della Corte di Cassazione, a parere dello scrivente, fonda il suo orientamento ormai consolidato nel tempo, sulla definizione stessa della norma, contenuta nel DPR-917/86-art.22 comma 1, attualmente vigente, dedicata allo scomputo (recupero) delle ritenute d’acconto, inquanto la predetta norma subordina la legittimità dello scomputo (recupero) alla sola condizione che le ritenute siano state «operate» e non viene posta dal legislatre, quale condizione essenziale allo scopmputo (recupero) la loro «avvenuta certificazione» .
Per cui, per il contribuente sostituito, nasce “solo” la necessità di poter dimostrare/provare con mezzi equivalenti che la ritenuta é stata subita.
L’Agenzia delle Entrate, con risoluzione n. 68/E del 19/03/2009 ha consentito lo scomputo delle ritenute non certificate, qualora il contribuente sostituito sia in grado di fornire una prova equivalente.